13 giugno 2011

Bersani, 'Via Governo'. Ma Di Pietro si smarca

Non ha raggiunto le stesse percentuali bulgare con cui nel '74 gli italiani dissero si' al divorzio tra marito e moglie. Ma per Pier Luigi Bersani l'effetto della vittoria dei referendum è lo stesso: "il divorzio tra il governo e il paese". Una frattura che, a maggior ragione dopo la "sberla" delle amministrative, ha per il centrosinistra una sola conseguenza politica: dimissioni e nuove elezioni. Un iter sostenuto da Pd, Sel e dal Terzo Polo ma non da Antonio Di Pietro che si smarca dalla richiesta "perché così si strumentalizza il referendum". L'impressione che il quorum fosse a portata di mano aleggiava già da ieri mattina al quartier generale del Pd. Ma quel 57 per cento di quorum rende la vittoria più dolce perché, è l'analisi del vertice Pd, "se alle amministrative gli elettori del centrodestra non erano andati a votare, stavolta sono andati e hanno bocciato le leggi approvate dal governo". Non solo, fa di conto Massimo D'Alema, "si calcola che l'annuncio del presidente del consiglio che non sarebbe andato a votare ha fatto aumentare di sette punti la volontà di votare".

Quindi, anche se la campagna referendaria ha cercato di non avere colori di partito, l'esito ha per il centrosinistra un valore tutto politico. "Un segnale inequivocabile per il governo ancor più delle amministrative", dice il moderato Pier Ferdinando Casini appaiato nell'analisi al leader di Sel Nichi Vendola per il quale "il paese ha mandato un segnale chiaro: il governo liberi il campo e con il voto anticipato consenta al paese di tornare a respirare". Tempo scaduto anche per Bersani che provoca la Lega a considerare se valga ancora la pena sostenere Berlusconi e in vista della verifica parlamentare si augura che la mozione di sfiducia arrivi "dai più responsabili del centrodestra". Il Pd non ha ancora deciso se presentare una mozione di sfiducia il 22, si vedrà, spiega il segretario Pd, "dalle tattiche parlamentari". Ma, conte o non conte, la realtà è che "Berlusconi non ha più la maggioranza nel paese" e quindi "si dimettano e aprano una situazione nuova, passando la mano al Quirinale".
Al Colle, secondo i desiderata del Pd, toccherebbe verificare se c'é "un breve spiraglio" per riformare la legge elettorale "altrimenti anche se c'é di mezzo la manovra, è meglio andare al voto che stare fermi". L'unico che nelle opposizioni fa la voce fuori dal coro è il leader Idv Antonio Di Pietro, per il quale di solito la spallata al governo è il refrain di ogni iniziativa. Ma stavolta l'ex pm vuole tenere i panni del referendario fino in fondo e prende le distanze: "Chiedere le dimissioni di Berlusconi in nome dei risultati referendari è una strumentalizzazione perché sono andati a votare sì anche molti elettori del centrodestra". Non che anche Di Pietro non pensi come gli alleati che "il Parlamento non rispecchi più il paese ma io mi propongo come alternativa a Berlusconi non in relazione all'esito dei referendum ma per la sua malapolitica"