La diminuzione del tasso di sostituzione tra retribuzione e pensione previsto nei prossimi anni e l'ancora scarsa adesione alla previdenza integrativa farà sì che molti lavoratori in futuro si troveranno "esposti a un forte rischio previdenziale, ovvero alla possibilità che, raggiunta l'età del pensionamento, si trovino a non avere risorse sufficienti a mantenere un tenore di vita adeguato". E' quanto si legge in uno studio dei ricercatori Giuseppe Cappelletti e Giovanni Guazzarotti della Banca d'Italia appena pubblicato sul sito. Lo studio sottolinea nell'introduzione che vi sono "rischi anche per l'intera collettività, poiché essa verrà chiamata a farsi carico di interventi di natura assistenziale". C'é una fascia consistente della popolazione - affermano i ricercatori - "per la quale la ricchezza previdenziale potrebbe risultare inadeguata.
In particolare circa il 15% dei lavoratori occupati presenta al contempo tassi di sostituzione inferiori al 60% (della retribuzione,ndr) e tassi di risparmio sotto il primo quintile della distribuzione". Nelle stime della Ragioneria dello Stato citate dallo studio, infatti, un lavoratore del settore privato che nel 2010 avrebbe ottenuto una pensione pari a circa il 70% della propria retribuzione (al lordo dell'imposizione fiscale e contributiva) nel 2040 vedrà ridotta la percentuale al 52% a parità di anni di contribuzione. Se il calcolo viene fatto al netto dell'imposizione fiscale e contributiva il tasso di sostituzione scenderà nei prossimi trent'anni dall'80% al 63%.
Secondo l'indagine tra i lavoratori c'é la consapevolezza degli effetti delle riforme sul risparmio previdenziale (nel senso della diminuzione del tasso di sostituzione e della necessità di lavorare più a lungo) ma manca la spinta a dare più spazio alla previdenza complementare a partire dal basso reddito disponibile. Tra il 2002 e il 2008 si è ridotta la percentuale di coloro che si aspettano di andare in pensione tra i 56 e i 60 anni (dal 41% al 34%) mentre è aumentata quella che si aspetta di uscire dal lavoro tra i 61 e i 65 anni (dal 44% al 51%). Tra il 2002 e il 2008 l'età di pensionamento attesa dai lavoratori (anche per prolungare la fase di accumulazione) è cresciuta di circa un anno).
Lo studio infine mostra come vi sia un basso livello di informazione sulla propria situazione previdenziale: tra coloro che aderiscono alla previdenza complementare è elevata la quota di chi non ricorda la linea di investimento scelta, il livello della contribuzione e l'ammontare del capitale accumulato nel fondo pensione. Il grado di partecipazione alla previdenza complementare è particolarmente ridotto poi proprio per le categorie di lavoratori che avranno bisogno di integrare le risorse derivanti dal primo pilastro, a partire dai giovani. Questa fascia di persone con vincoli di reddito stringenti può essere restia a destinare parte dei risparmi a una forma di ricchezza "poco liquida" come quella previdenziale. "In questo caso - conclude l'indagine - interventi volti a promuovere il risparmio privato non sono sufficienti ed è necessario prevedere fin d'ora misure di natura assistenziale".
Secondo l'indagine tra i lavoratori c'é la consapevolezza degli effetti delle riforme sul risparmio previdenziale (nel senso della diminuzione del tasso di sostituzione e della necessità di lavorare più a lungo) ma manca la spinta a dare più spazio alla previdenza complementare a partire dal basso reddito disponibile. Tra il 2002 e il 2008 si è ridotta la percentuale di coloro che si aspettano di andare in pensione tra i 56 e i 60 anni (dal 41% al 34%) mentre è aumentata quella che si aspetta di uscire dal lavoro tra i 61 e i 65 anni (dal 44% al 51%). Tra il 2002 e il 2008 l'età di pensionamento attesa dai lavoratori (anche per prolungare la fase di accumulazione) è cresciuta di circa un anno).
Lo studio infine mostra come vi sia un basso livello di informazione sulla propria situazione previdenziale: tra coloro che aderiscono alla previdenza complementare è elevata la quota di chi non ricorda la linea di investimento scelta, il livello della contribuzione e l'ammontare del capitale accumulato nel fondo pensione. Il grado di partecipazione alla previdenza complementare è particolarmente ridotto poi proprio per le categorie di lavoratori che avranno bisogno di integrare le risorse derivanti dal primo pilastro, a partire dai giovani. Questa fascia di persone con vincoli di reddito stringenti può essere restia a destinare parte dei risparmi a una forma di ricchezza "poco liquida" come quella previdenziale. "In questo caso - conclude l'indagine - interventi volti a promuovere il risparmio privato non sono sufficienti ed è necessario prevedere fin d'ora misure di natura assistenziale".