19 maggio 2011

ASSEMBLEA PLENARIA CGIE.L’integrazione delle collettività italiane nel mondo

Un quadro complessivo delle collettività italiane residenti all’estero e del loro livello di integrazione nei diversi Paesi di accoglienza è stato tracciato oggi nella seconda mattinata di lavori della plenaria del Cgie a Torino.
Dell’emigrazione italiana nei Paesi dell’Africa del Nord, in particolare Algeria, Marocco ed Etiopia ha parlato Franco Santellocco, che riassumendo le principali tappe dell’arrivo degli italiani in loco ha insistito sull’impegno della collettività, composta in prevalenza da imprenditori, “persone interessate a migliorare rapidamente la loro posizione, obiettivo raggiunto in sinergia con le forze locali e con il coinvolgimento spesso in situazioni di grandissima difficoltà”. “Un impegno che viene riconosciuto alla nostra collettività e che ha accompagnato i processi di integrazione in loco avvenuti in assoluta, civile convivenza e rispetto reciproco – ha aggiunto Santelocco, – senza che si dovesse rinunciare ai propri principi nazionali e alla propria italianità”. La presenza italiana in queste aree ha inciso fortemente sull’incremento dei rapporti economici e commerciali con il nostro Paese e sulla nostra presenza culturale, come testimonia l’istituzione, avvenuta in questi ultimi anni, della Scuola Roma di Algeri, citata nell’intervento da Santellocco annunciando la prossima attivazione in essa di un liceo, a completamento di scuola materna, elementare e media già funzionanti.




Sulla criticità dell’emigrazione italiana in Germania ha insistito invece Tommaso Conte, segnalando come lo sforzo compiuto negli ultimi anni dalla politica tedesca sul fronte dell’integrazione debba essere considerato in Italia un esempio da seguire. “Il cancelliere Angela Merkel ha finalmente riconosciuto la Germania come terra di immigrazione, un riconoscimento a cui hanno fatto seguito diverse misure concrete indirizzate all’integrazione dei migranti, come l’istituzione di un Forum sull’integrazione e le consultazioni avviate con le collettività straniere sul tema – ha detto Conte, ricordando come il presidente del Comites di Hannover, Giuseppe Scigliano, risulti uno dei consiglieri sulla questione delegato per la collettività italiana dall’Intercomites in Germania. “L’integrazione dei connazionali in loco resta ancora un’opera incompiuta, a causa delle basse qualifiche dei nostri emigrati e dell’insuccesso scolastico dei bambini italiani nelle scuole tedesche, oltre che per il prolungato rifiuto dello Stato tedesco di riconoscere il carattere permanente di molti progetti migratori. “Carattere che gli stessi nostri connazionali hanno tardato a riconoscere – ha detto il consigliere, specificando come l’insuccesso scolastico finisca per ripercuotersi sul tasso di disoccupazione degli italiani in Germania (negli ultimi anni circa il doppio di quello registrato tra i tedeschi). “Ancora oggi il 10% degli studenti italiani frequenta le classi differenziali nel Baden Württenberg e in Baviera – ha segnalato il consigliere, richiamando anche lo scarso livello di partecipazione degli italiani alla vita politica tedesca. Più qualificata certamente la nuova emigrazione, che tuttavia “non ha contatti con l’emigrazione di più antica data”, mentre viene segnalato anche un crescente rientro in Germania di anziani precedentemente tornati in Italia al momento della pensione, che ritengono però la Germania più idonea a fornire loro assistenza e servizi di welfare.
Di lunghissimo corso l’emigrazione italiana in Argentina, le cui caratteristiche principali sono state tracciate da Mariano Gazzola: “possiamo dire che i primi emigranti si sono scoperti italiani in terra Argentina – ha detto, ricordando l’importanza dell’associazionismo di stampo mutualistico e della fondazione degli ospedali italiani per il mantenimento del senso di appartenenza nazionale. “Dopo una prima fase di grande vivacità, istituzioni e giornali italiani cominciarono a languire a partire dagli anni ’20 – ha proseguito Gazzola – anche per l’assenza dello Stato italiano e la concomitante politica di argetinizzazione attuata in loco. Nel secondo dopoguerra gli immigrati italiani sentono più forte l’appartenenza regionale e così crescono nuovi modelli di associazioni, mentre la cultura italiana viene sempre più percepita in loco come qualcosa di prezioso”. Si diffondono le Società della Dante Alighieri per l’insegnamento della lingua e la diffusione della cultura italiana, mentre i discendenti degli italiani rinnovano il loro interesse per le origini. “Un fenomeno che uno studioso americano ha classificato come legge della terza generazione – ha precisato Gazzola: - i nipoti vogliono ricordare cose che i genitori invece tenevano a dimenticare, testimonianza di un rapporto più disteso con le origini, che spesso alimenta un nuovo legame con l’Italia”.
Si è soffermato sulla collettività italiana residente in Australia Francesco Papandrea, che ha parlato di immigrati “oggi perfettamente inseriti nel contesto locale in cui promuovono il proprio sentimento di italianità” e di “una ottima partecipazione da parte loro anche alla vita politica del Paese”. “Esistono problemi di povertà ed emarginazione anche in Australia – ha aggiunto Papandrea, - connessi in particolare all’invecchiamento della collettività: più della metà dei nati in Italia residenti in Australia hanno oggi più di 65 anni. Spesso parlano poco e male l’inglese e questo aggrava il senso di isolamento percepito”. “Questo dato spiega anche come un certo modello di associazionismo sia arrivato al tramonto – ha proseguito il consigliere – mentre una nuova partecipazione dei giovani è stata alimentata con iniziative come la Prima Conferenza dei Giovani italiani nel mondo, a cui occorre dare seguito. In Australia quest’ultima ha originato anche nuovi modelli associativi, come i Giovani Italiani in Australia”. Papandrea ha segnalato anche i progressi nella diffusione dell’insegnamento della lingua italiana in loco, con il contributo di programmi scolastici statali che non sottovalutano la sua importanza.
Mario Araldi ha parlato invece del Brasile, altro Paese in cui l’emigrazione italiana è stata di grandi proporzioni e di lungo corso: “il senso dei nostri valori nazionali risulta sicuramente più avvertito nelle zone periferiche rispetto alle grandi città, dove i numerosi scambi quotidiani hanno diluito questa appartenenza – ha affermato Araldi, sottolineando l’impegno nei confronti del coinvolgimento alle attività dell’associazionismo delle giovani generazioni “perfettamente integrate”. “Riscontriamo nei giovani un grande interesse per la riscoperta delle proprie radici culturali, anche attraverso l’utilizzo di internet e le borse di studio in Italia – ha detto Araldi – ma poco interesse per il volontariato e la presenza attiva nelle associazioni, salvo pochi casi”. Il consigliere conclude ricordando come il Brasile rappresenti una realtà dell’economia emergente tra le più rilevanti per l’Italia nel contesto globale.
Fernando Marzo, analizzando la presenza italiana in Belgio, ha invece messo in luce la diversità di nuova e vecchia emigrazione e il difficile legame tra i due “mondi”. “Occorre inaugurare una nuova fase negli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero, capace di coinvolgere esponenti di questa nuova mobilità. Saranno loro – ha affermato Marzo – a riflettere sulle priorità dell’emigrazione del futuro”. Anche se la collettività italiana in Belgio risulta essere ben inserita, il consigliere ha richiamato dati che riguardano l’insuccesso scolastico dei connazionali, determinanti, come in Germania, il tasso di disoccupazione.
Anche il consigliere del Canada Carlo Consiglio si è soffermato sul coinvolgimento delle giovani generazioni e sull’interesse di queste ultime per l’Italia, dimostrato con le iniziative connesse alla Prima Conferenza mondiale dei giovani, “fatto estremamente positivo – ha detto – a cui occorre dare seguito”, mentre Paolo Castellani ha ripercorso le vicende degli italiani in Cile “strettamente connesse alla colonizzazione del territorio e alla nascita dello Stato cileno”. “In Cile i connazionali non sono considerati stranieri, ma sono e si considerano parte della società civile cilena. La sfida per i 57.000 italiani qui presenti è piuttosto il mantenimento del legame con l’Italia e questo legame si ripercuote sul tasso di partecipazione al voto all’estero degli aventi diritto – ha affermato Castellani, segnalando come il futuro di questo rapporto sia attribuibile alla realizzazione di “investimenti in lingua e cultura, in nuovi modelli di formazione professionale, basati sull’esperienze italiana in piccole e medie imprese, e al non fare sentire abbandonata a se stessi la fascia più anziana degli emigrati”.
Anche Marina Salvarezza ha ricordato per l’Ecuador come la storia degli italiani sia collegata alla storia e allo sviluppo culturale ed artistico del Paese latino-americano, auspicando nel futuro un incremento dei rapporti economici ma anche culturali tra le due realtà. Bruno Capaldi ha tracciato un profilo dell’emigrazione italiana in Francia, “quarta collettività straniera nel Paese”, ben integrata e coinvolta nella vita professionale, sociale e politica d’Oltralpe. Numerosi anche qui negli ultimi anni gli emigrati italiani, spesso giovani, che non si iscrivono all’Aire ma costituiscono un settore variegato, altamente formato e complesso nell’ambito dell’intero contesto europeo. (Viviana Pansa – Inform)