ROMA - "Palazzo San Gervasio non puo' mai diventare una nuova Rosarno. Qui non ci sono mafiosi che fanno il tiro ai piccioni sui neri o che li rapinano delle loro misere paghe. Se Palazzo dovesse malauguratamente diventare una nuova Rosarno, certamente non sara' per colpa dei palazzesi.Sara' per colpa delle istituzioni". Si chiude cosi' l'ultimo comunicato dell'Osservatorio migranti Basilicata, i cui volontari sono impegnati da dieci giorni nella consegna quotidiana di mille litri d'acqua sulla provinciale 21, nei casolari diroccati che segnano il tutto esaurito di lavoratori africani. Almeno un migliaio, si stima. Ma ogni anno, tra la fine di agosto e la fine di settembre, ne arrivano circa tremila per la raccolta del pomodoro in un'area ristretta tra Palazzo, Venosa, Melfi e Lavello. "Ormai qualunque paese che ospita un po' di migranti diventa per i media una potenziale Rosarno - dice lo scrittore Antonello Mangano, autore di saggi sull'argomento - ma il paese della Piana deve diventare il simbolo della rivolta contro la violenza mafiosa e lo sfruttamento bestiale, non di tensioni interrazziali che possono sfociare nello scontro".
Emergenza umanitaria si, emergenza umanitaria no. Per le associazioni e i volontari la situazione e' grave, soprattutto dopo la decisione del comune di non riaprire il centro all'ingresso del paese dove da undici anni, gli immigrati si accampavano con le tende. Trovando sbarrato l'ingresso, molti si dirigono nelle decine di casolari abbandonati in aperta campagna.
Ruderi senza porte e finestre, senza corrente elettrica, servizi sanitari, assistenza medica e, soprattutto, senza acqua per bere e per lavarsi. Tuguri, abbandonati si, ma con proprietari che a volte ci stipano le balle di fieno. Dunque luoghi soggetti a sgombero da parte delle forze dell'ordine dopo le denunce dei privati. "Un'eventuale epidemia colpirebbe solo la popolazione immigrata o metterebbe in pericolo tutti?" si chiedono ancora gli attivisti dell'Osservatorio. E sottolineano che con la mancata riapertura del centro "si scarica un problema di natura pubblica sui privati". Il sindaco del paese, Federico Pagano, ha parlato di violazione delle norme igieniche e di sicurezza nel centro per il fatto che i lavoratori stranieri si auto organizzavano con spacci alimentari e bombole di gas per cucinare. I volontari rispondono mettendo in evidenza come vivendo nei tuguri, comunque non sussistono le garanzie di igiene e sicurezza e sostengono che cittadini del posto avrebbero venduto agli africani pecore ammalate per scopi alimentari. Per le istituzioni locali, al contrario, questa emergenza non c'e'. Ad esempio, il comune di Venosa non ha mai risposto a una lettera della Caritas parrocchiale che gia' a luglio sollevava il problema. E se dei provvedimenti sono stati presi, sono sicuramente inferiori rispetto alla portata del fenomeno, denunciano ormai da tempo le associazioni locali che seguono la vicenda. (www.redattoresociale.it)
Ruderi senza porte e finestre, senza corrente elettrica, servizi sanitari, assistenza medica e, soprattutto, senza acqua per bere e per lavarsi. Tuguri, abbandonati si, ma con proprietari che a volte ci stipano le balle di fieno. Dunque luoghi soggetti a sgombero da parte delle forze dell'ordine dopo le denunce dei privati. "Un'eventuale epidemia colpirebbe solo la popolazione immigrata o metterebbe in pericolo tutti?" si chiedono ancora gli attivisti dell'Osservatorio. E sottolineano che con la mancata riapertura del centro "si scarica un problema di natura pubblica sui privati". Il sindaco del paese, Federico Pagano, ha parlato di violazione delle norme igieniche e di sicurezza nel centro per il fatto che i lavoratori stranieri si auto organizzavano con spacci alimentari e bombole di gas per cucinare. I volontari rispondono mettendo in evidenza come vivendo nei tuguri, comunque non sussistono le garanzie di igiene e sicurezza e sostengono che cittadini del posto avrebbero venduto agli africani pecore ammalate per scopi alimentari. Per le istituzioni locali, al contrario, questa emergenza non c'e'. Ad esempio, il comune di Venosa non ha mai risposto a una lettera della Caritas parrocchiale che gia' a luglio sollevava il problema. E se dei provvedimenti sono stati presi, sono sicuramente inferiori rispetto alla portata del fenomeno, denunciano ormai da tempo le associazioni locali che seguono la vicenda. (www.redattoresociale.it)