La crisi non è finita, perché nel sistema economico internazionale sono ancora presenti molte delle fragilità messe a nudo dalla crisi". E' lo scenario tracciato da Pier Carlo Padoan, capo economista dell'Ocse, che riecheggia le valutazioni espresse ieri dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Padoan sottolinea i tre elementi di preoccupazione sullo scenario globale. ''Il primo - spiega - è il "debito, che diversi Paesi europei devono ancora stabilizzare in modo definitivo mentre alcuni sistemi bancari restano esposti al rischio sovrano. Insomma, abbiamo avuto una enorme esplosione del debito pubblico, che ha sostituito il debito privato".C'è poi - aggiunge - la cosiddetta 'guerra delle valute' che continua in assenza di accordi di cooperazione provocando squilibri globali: vediamo, ad esempio, Paesi emergenti alle prese con la creazione di inflazione e un tasso di cambio che si apprezza per via proprio dei forti afflussi di capitale". Per il capo economista dell'Ocse, il terzo elemento "è il ritorno degli aumenti vertiginosi dei prezzi delle materie prime energetiche e alimentari". Se quindi ''mettiamo assieme questi tre elementi - spiega Padoan - non possiamo che convenire che l'emergenza globale non è definitivamente passata".
Lo scenario sembra così tornato alle posizioni pre-crisi di inizio 2008, ma Padoan sottolinea il valore degli interventi "di questi ultimi 2 anni che ci hanno permesso di evitare il baratro: subito dopo il fallimento di Lehman Brothers il mondo era su bordo delle depressione, non della recessione".
"Il peggio - ricorda il capo economista Ocse - è stato evitato da interventi concordati ma se la gestione dell'emergenza è stata efficace è mancata invece la fase post-emergenza, con la ricostruzione di un sistema economico stabile. Il G20 ha funzionato bene durante la crisi ora bisogna rimboccarsi le maniche".
"Se guardiamo alla storia delle crisi - sottolinea - è evidente che 'quando la casa brucia tutti aiutano a spegnere': dopo, tuttavia, quando servono decisioni più impegnative gli interessi nazionali cominciano a divergere".
Padoan non è d'accordo con chi invoca un atteggiamento più duro nei confronti degli istituti di credito, escludendo interventi pubblici per il loro salvataggio: "Vorrei ricordare che una delle ragioni del fallimento di Lehman Brothers è stata la decisione delle autorità americane di staccare la spina, per dare un segnale ai mercati. Ebbene, abbiamo visto che questa scelta in realtà ha accelerato una reazione a catena".
Ma ora, aggiunge, "per uscire dalla crisi non ci sono scorciatoie ma una exit strategy si poggia su tre pilastri: il primo è rappresentato da azioni di consolidamento fiscale per evitare che il debito pubblico sia una fonte di crisi per Paesi europei non solo periferici. Il secondo pilastro vede il completamento della 'pulizia' del sistema finanziario, mettendo a posto bilanci e definendo regolazioni che impediscano rischi eccessivi; un'operazione per la quale servirà qualche anno, i tempi di implementazione di Basilea 3 saranno lunghi". Infine, ''bisogna ritornare a crescere. E questa - dice Padoan - è la parte più difficile perché le ricette a nostra disposizione non operano nell'immediato ma nel medio termine".
E aggiunge: ''Se gli europei si indebitano con i cinesi, che promettono di acquistare i loro titoli pubblici, può essere anche una fonte di crescita: dipende dalla destinazione che gli Stati daranno a questo debito'' commenta Padoan circa le ultime iniziative di Pechino, come il sostegno all'economia spagnola, attraverso l'impegno all'acquisto di 'bonos' di Madrid. La Cina ha fatto lo stesso negli Usa dove, ricorda, ''possedeva forti quote delle società di erogazione mutui Fannie Mae e Freddie Mac''. Ma ''il destino dell'Europa - aggiunge - deve restare nelle sue mani: la Cina non si deve sostituire agli europei'' nel definire le scelte del futuro prossimo.
In ogni caso ''quello dei flussi di capitale a livello internazionale è il grande tema dei prossimi anni: più le economie si diversificano più diventano importanti i flussi di capitale fra le regioni. Pertanto - precisa Padoan - serve un sistema che li renda sostenibili, per far sì che siano orientati a lungo termine e siano veicoli di crescita''. Poi, sull'economia statunitense, dice: ''Certo, negli Usa si registra una ripresa ma la crescita è ancora ancora debole mentre il debito continua a salire a tassi insostenibili''.
Più in generale, Padoan invita a un approccio 'costruttivo' al tema del default di qualche Paese: ''Non è un'ipotesi che mi fa paura di per sé - osserva - non ci vedo niente di strano nel considerarla, da una parte perché non è una prospettiva inevitabile ma anche perché è un evento che nella storia si è ripetuto in diversi modi: c'è il modo rovinoso, in cui tutto il sistema crolla, ma anche un modo 'controllato'''.
Insomma, per il capo economista dell'Ocse l'insolvenza di un Paese ''è un'ipotesi da considerare se parte del suo debito diventa insostenibile: sarebbe miope dire che i default non esistono, sono una malattia, che peraltro è prevista nel sistema privato''. L'importante, conclude, è ''ricordare che ci sono gli strumenti tecnici e legali per far sì che gli effetti non siano rovinosi per il sistema economico''.
"Il peggio - ricorda il capo economista Ocse - è stato evitato da interventi concordati ma se la gestione dell'emergenza è stata efficace è mancata invece la fase post-emergenza, con la ricostruzione di un sistema economico stabile. Il G20 ha funzionato bene durante la crisi ora bisogna rimboccarsi le maniche".
"Se guardiamo alla storia delle crisi - sottolinea - è evidente che 'quando la casa brucia tutti aiutano a spegnere': dopo, tuttavia, quando servono decisioni più impegnative gli interessi nazionali cominciano a divergere".
Padoan non è d'accordo con chi invoca un atteggiamento più duro nei confronti degli istituti di credito, escludendo interventi pubblici per il loro salvataggio: "Vorrei ricordare che una delle ragioni del fallimento di Lehman Brothers è stata la decisione delle autorità americane di staccare la spina, per dare un segnale ai mercati. Ebbene, abbiamo visto che questa scelta in realtà ha accelerato una reazione a catena".
Ma ora, aggiunge, "per uscire dalla crisi non ci sono scorciatoie ma una exit strategy si poggia su tre pilastri: il primo è rappresentato da azioni di consolidamento fiscale per evitare che il debito pubblico sia una fonte di crisi per Paesi europei non solo periferici. Il secondo pilastro vede il completamento della 'pulizia' del sistema finanziario, mettendo a posto bilanci e definendo regolazioni che impediscano rischi eccessivi; un'operazione per la quale servirà qualche anno, i tempi di implementazione di Basilea 3 saranno lunghi". Infine, ''bisogna ritornare a crescere. E questa - dice Padoan - è la parte più difficile perché le ricette a nostra disposizione non operano nell'immediato ma nel medio termine".
E aggiunge: ''Se gli europei si indebitano con i cinesi, che promettono di acquistare i loro titoli pubblici, può essere anche una fonte di crescita: dipende dalla destinazione che gli Stati daranno a questo debito'' commenta Padoan circa le ultime iniziative di Pechino, come il sostegno all'economia spagnola, attraverso l'impegno all'acquisto di 'bonos' di Madrid. La Cina ha fatto lo stesso negli Usa dove, ricorda, ''possedeva forti quote delle società di erogazione mutui Fannie Mae e Freddie Mac''. Ma ''il destino dell'Europa - aggiunge - deve restare nelle sue mani: la Cina non si deve sostituire agli europei'' nel definire le scelte del futuro prossimo.
In ogni caso ''quello dei flussi di capitale a livello internazionale è il grande tema dei prossimi anni: più le economie si diversificano più diventano importanti i flussi di capitale fra le regioni. Pertanto - precisa Padoan - serve un sistema che li renda sostenibili, per far sì che siano orientati a lungo termine e siano veicoli di crescita''. Poi, sull'economia statunitense, dice: ''Certo, negli Usa si registra una ripresa ma la crescita è ancora ancora debole mentre il debito continua a salire a tassi insostenibili''.
Più in generale, Padoan invita a un approccio 'costruttivo' al tema del default di qualche Paese: ''Non è un'ipotesi che mi fa paura di per sé - osserva - non ci vedo niente di strano nel considerarla, da una parte perché non è una prospettiva inevitabile ma anche perché è un evento che nella storia si è ripetuto in diversi modi: c'è il modo rovinoso, in cui tutto il sistema crolla, ma anche un modo 'controllato'''.
Insomma, per il capo economista dell'Ocse l'insolvenza di un Paese ''è un'ipotesi da considerare se parte del suo debito diventa insostenibile: sarebbe miope dire che i default non esistono, sono una malattia, che peraltro è prevista nel sistema privato''. L'importante, conclude, è ''ricordare che ci sono gli strumenti tecnici e legali per far sì che gli effetti non siano rovinosi per il sistema economico''.