''Volge al termine un anno segnato da una crisi cosi' grave da imporre l'assoluta centralita' del problema della sopravvivenza''. Lo rileva il Censis nelle considerazioni generali del 46* Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2012. ''Una centralita' - prosegue il Censis - quotidianamente alimentata dalle preoccupazioni della classe di governo, dalle drammatizzazioni dei media, dalle inquietudini popolari; dalla paura di non farcela, una paura reale, che non ha risparmiato alcun soggetto della societa', individuale o collettivo, economico o istituzionale. Basta pensare all'ansia dei piccoli imprenditori rispetto all'ipotesi di dover chiudere attivita' e impianti; alle insicurezze delle famiglie esposte a un drastico impoverimento delle risorse e degli stili di vita; alla improvvisa fragilita' di ricavi e di autonomia avvertita dalle banche; alla strisciante sensazione dei sistemi territoriali di veder crollare la loro orgogliosa vitalita'; al quasi terrore delle classi di governo di fronte all'incubo dello spread che si impenna e del default che si avvicina; allo sbandamento di quasi tutti noi europei per una crisi forse senza ritorno della moneta comune e della stessa coesione comunitaria. Nessuno, si puo' dire, e' rimasto fuori dalla paura di non sopravvivere alla crisi e ai suoi vari processi''. ''La realta' si e' rivelata diversa da quella che ci aspettavamo, - sottolinea il Censis - piu' complicata che nelle crisi precedenti, e cosi' ''perfida'' da imporci una radicale rottura di schema anche interpretativo (prima ancora che decisionale e operativo)''. ''Vedremo, - conclude il Censis - nella strada che porta alle elezioni politiche, se l'agenda di rigoroso governo del sistema si tradurra', nei prossimi mesi, in impulsi di leadership politica e di mobilitazioni collettive anche per i tanti soggetti che continuano a non capire e non sentirsi coinvolti. Per ora, a quel che e' dato di vedere, per la prima volta nella storia delle crisi italiane del dopoguerra, il fronteggiamento della crisi non vede un apporto significativo degli impegni politici e dell'intervento pubblico. Cosi' nella loro prova di sopravvivenza i singoli soggetti sociali sono restati e restano soli, anzi 'peggio che soli', come potrebbero dire coloro che hanno visto nella citata agenda fattori di compressione e depressione''.
Le 3 'r' della famiglie. Risparmio, rinuncio e rinvio. Risparmio, rinuncio, rinvio: sono le tre 'r' dei consumi delle famiglie italiane. Consumi e propensione al risparmio ai minimi da lungo tempo definiscono un quadro preoccupante, che per il momento non mostra alcun sostanziale segnale di cambiamento. La ''famiglia Spa'', reattiva alle crisi passate e capace di formulare modelli di consumo sempre nuovi, lascia il posto ad un adattamento piuttosto scialbo alla recessione. L'anno in corso appare come uno snodo, poiche' rappresenta il momento di massima flessione dei consumi in termini reali dall'inizio della crisi; nel primo trimestre del 2012 la flessione delle spese delle famiglie e' stata del 2,8% e nel secondo trimestre vicina al 4% in termini tendenziali. Ma il punto nodale e' anche un altro: nel 2012 i consumi reali pro-capite, pari a poco piu' di 15.700 euro, sono ritornati ai livelli del 1997, vanificando la crescita progressiva compiuta nell'arco degli ultimi sedici anni. Crollo morale politica e corruzione cause crisi per 43% italiani. Il crollo morale della politica e la corruzione sono ritenute le cause principali della crisi: lo pensa il 43,1% degli italiani. Segue il debito pubblico legato a sprechi e clientele (26,6%) e l'evasione fiscale (26,4%). La politica europea e l'euro vengono dopo (17,8%), cosi' come i problemi delle banche (13,7%). Il sentimento piu' diffuso tra gli italiani in questo momento e' la rabbia (52,3%), poi la paura (21,4%), la voglia di reagire (20,1%), il senso di frustrazione (11,8%). Le paure per il futuro sono innanzitutto la malattia (35,9%) e la non autosufficienza (27%), poi il futuro dei figli (26,6%), la situazione economica generale (25,5%), la disoccupazione e il rischio di perdere il lavoro (25,2%)